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#IoRestoErasmus: Laura, in triage a Bruxelles durante il Covid e “convinta di aver fatto la scelta giusta”

Laura ha 23 anni ed è iscritta al quinto anno della facoltà di Medicina e Chirurgia di Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Da settembre si trova a Bruxelles per una mobilità internazionale Erasmus. ULB, université libre de Bruxelles, è l’istituto di accoglienza dove sosterrà esami e frequenterà un tirocinio, sino a giugno 2020. Laura infatti si trova ancora lì, contentissima della sua scelta, nonostante il Covid-19. Ci spiega perché.

D: Cara Laura, ti trovi a vivere una esperienza di mobilità internazionale Erasmus+ davvero straordinaria nel tuo caso: sei riuscita a fare del Covid-19 quasi un punto di forza. Raccontaci cosa è successo:

R: Certamente la situazione in cui il mondo intero versa ha stravolto la vita di ognuno di noi, radicalmente e senza preavviso. Nel mio caso lo ha fatto mentre stavo vivendo un’esperienza di studio e tirocinio lontano da casa, sbriciolando tutte le aspettative che mi ero creata e impedendomi di realizzare i tanti progetti, professionali e personali, che mi ero prefissata per questi ultimi mesi di Erasmus. Inizialmente le emozioni che hanno prevalso sono state la rabbia, la paura e lo sconforto: dovevo prendere una decisione sul rientrare in Italia o meno, avevo poche certezze rispetto a come si sarebbe evoluta la situazione qui in Belgio e mi spaventava l’idea di rimanere sola, in una città non mia e senza troppe possibilità di approfittare della mia esperienza.

Alla fine ho scelto di restare e portare a termine i 10 mesi di mobilità: ho voluto affrontare questa situazione da qui, scegliendo di vivere in toto la realtà in cui mi trovavo, compresi gli imprevisti che si sono presentati. Così, superati i primi giorni di ansia e preoccupazione, ho iniziato a intravedere nella mia posizione di studentessa Erasmus all’estero, durante una pandemia mondiale, un’opportunità più che una sfortuna: ho fatto prevalere la mia visione fatalistica e filosofica e mi sono detta che si doveva trattare di un segno per farmi crescere e imparare.

Ho scelto di essere coerente con la decisione che avevo preso a settembre e anche con quella fatta cinque anni fa quando ho iniziato a studiare medicina: rientrare in Italia avrebbe esposto a un rischio sia me che la mia famiglia e ho preferito rispettare la quarantena del mio paese in un momento cosi drammatico: insomma, il rapporto rischio beneficio non era a favore della scelta di abbandonare tutto, e in più non me la sono sentita d’interrompere bruscamente l’esperienza unica che stavo vivendo.

Ho fatto prevalere la razionalità sull’emotività e sulla voglia di restare vicino ai miei affetti, e ad oggi sono convinta di aver fatto la cosa giusta.

Il 18 marzo anche il Belgio è entrato in quarantena, i tirocini e le lezioni sono stati sospesi e mi sono ritrovata in appartamento da sola, ma non ho dovuto attendere troppo perché si aggiungesse una sfida professionale, accanto a quella personale che già avevo accettato.

Gli ospedali di Bruxelles infatti hanno iniziato a chiedere il contributo volontario di noi studenti e a quel punto ho capito che un’avventura certamente diversa, ma altrettanto stimolante e irripetibile, si stava affacciando all’orizzonte. Ho voluto accogliere questa proposta nonostante il timore iniziale, l’ho vista come una bellissima occasione di crescita per la mia formazione e un modo per dare un contributo significativo in una situazione così drammatica. Ho iniziato quindi a fare diversi turni alle urgenze dell’Hopital Erasme nelle aree covid-19, in particolare nelle postazioni preposte allo svolgimento del pre-triage dei pazienti che accedevano al pronto soccorso. Ho trovato un ambiente ospitale, il personale era disponibile e attento a metterci in totale sicurezza, ad assegnarci mansioni adeguate alla nostra posizione e alle nostre competenze.

L’Erasmus quindi non mi ha affatto deluso, anzi è stato fedele alle promesse che ci aveva fatto: si è presentato come una sfida, un terreno fertile di crescita e cambiamento, un modo per superare i propri limiti e acquisire nuove consapevolezze. Non ha disatteso nessuna aspettativa.

D: Prima del traineeship, tu eri impegnata nella mobilità per studio presso l’ULB: quali le maggiori differenze, in positivo e in negativo, nell’apprendimento accademico rispetto al sistema italiano? 

R: Per quanto riguarda le modalità di apprendimento e i mezzi messi a disposizione per trasmettere le nozioni teoriche, ho riscontrato molte similitudini tra i due Paesi: anche qui a Bruxelles le lezioni sono basate principalmente sull’approccio frontale con supporti informatici e slides. La differenza principale risiede nel livello di approfondimento richiesto per affrontare ogni materia, che in Italia è sicuramente maggiore, forse in relazione anche alle modalità di esame: infatti, mentre a Bologna la maggior parte sono orali, qui a Bruxelles sono tutti scritti, e questo comporta uno studio più mirato e focalizzato sui punti davvero utili per la pratica clinica.

Il vero punto di forza della realtà universitaria belga rimangono i tirocini, che al contrario di quelli italiani, prevalentemente basati su un apprendimento osservazionale, sono invece molto pratici: da studentessa ho avuto l’opportunità di agire in autonomia in situazioni di urgenza e di imparare direttamente sul campo cosa voglia dire comportarsi da medico.

Sarò sempre grata all’ULB e all’Hopital Erasme per avermi permesso di incontrare persone che, con fiducia e pazienza, mi hanno insegnato a mettermi in gioco e ad assumermi nuove responsabilità, facendomi superare la paura di non essere all’altezza. Credo di aver imparato tanto, mi sento molto cresciuta a livello professionale e tornerò più consapevole di ciò che voglio fare in futuro, perché ho potuto concretamente sperimentare cosa significa esercitare questa professione.

Sono certa che l’incontro delle due culture e delle due realtà universitarie, quella belga e quella italiana, si rivelerà vincente e darà una svolta positiva al mio avvenire.

D:  Le tecnologie sono importantissime in questa fase, consentendo legami umani ma anche professionali: hai avuto supporto dalla tua università di appartenenza?  siete in contatto? la tua famiglia è preoccupata? 

R: la mia università, non appena l’Italia è entrata in quarantena, lo scorso 11 marzo, mi ha contattata subito per esprimermi il suo sostegno e per informarmi che, in qualità di italiana all’estero, ero autorizzata a rientrare nel mio paese in qualsiasi momento, anche con la possibilità di rimanere ufficialmente in mobilità.

Nonostante un’incertezza iniziale, ho scelto di rimanere, pur mantenendomi sempre in contatto con la mia docente italiana nonché referente Erasmus per Bruxelles: si è sempre dimostrata molto disponibile, attenta e premurosa nei miei confronti e del mio collega Francesco, sostenendoci a prescindere dalla nostra decisione di restare o tornare.

Anche la mia famiglia, superata la preoccupazione iniziale data dal sapermi lontana e da sola a fronteggiare una situazione dall’evoluzione ancora incerta, mi ha supportata e aiutata a proseguire sulla strada intrapresa. Ne approfitto anzi per ringraziare i miei cari per essersi fidati di me, per avermi lasciato la libertà di scegliere senza imporsi in un contesto in cui l’emotività e la voglia di tenermi al sicuro accanto a loro potevano prendere il sopravvento. Mi hanno trattata da adulta, dimostrando così di aver compreso a pieno lo spirito dell’esperienza che sto vivendo.

Per fortuna nell’era in cui viviamo le distanze sono talmente accorciate da essere quasi nulle, e questo ci consente di sentirci e vederci quotidianamente, quasi come se stessimo facendo la quarantena sotto lo stesso tetto. Certo, ci sono momenti in cui mi mancano un po’ di più e lo sconforto riesce ad avere la meglio, soprattutto quando mi chiamano dicendomi che stanno mangiando le tagliatelle o la piadina, ma poi penso al momento in cui ci riabbracceremo e mi dico che sarà ancora più bello.

D: Qual è il valore più grande di questa esperienza: il rapporto umano o la crescita professionale? 

R: Entrambi, anche perché non credo che uno prescinda dall’altro. La cosa più importante che ho imparato in tutti questi mesi è proprio che bisogna crescere umanamente e lavorare su se stessi per poter migliorare e acquisire nuove competenze in ambito professionale. Se ripenso al primo giorno di tirocinio ancora rivivo l’ansia e la frustrazione. mi sentivo totalmente disorientata e incapace; poi piano piano, come ogni volta che viviamo qualcosa di nuovo, mi sono adattata e ho trovato il mio equilibrio. Ho imparato a chiedere aiuto e a farmi conoscere, ho scoperto di avere più capacità di quanto immaginassi e ho conosciuto persone che me le hanno riconosciute e hanno saputo apprezzarmi. L’ultimo giorno ho pianto perché non volevo lasciare quel reparto e l’atmosfera che si respirava: credo sia il modo migliore per imparare una professione, sapere di poter contare su figure competenti che però ti si presentano prima come persone, piuttosto che come professinisti, ricordandosi chi chiederti come stai o di tenderti una mano quando ti trovano in difficoltà.

L’umanità è un valore che, soprattutto nell’ambiente medico, non dovrebbe mai essere trascurato, ma al contrario coltivato quotidianamente.

L’Erasmus inoltre mi ha permesso di estendere incredibilmente la mia rete di rapporti: oggi mi ritrovo amici in quasi tutti gli angoli d’Europa e qualcuno anche oltreoceano, ho conosciuto professori e medici che sono stati un’ispirazione e che spero di ritrovare un giorno nella mia realtà professionale, ho condiviso momenti impossibili da dimenticare con persone altrettanto indimenticabili.

Tutte le scelte che ho fatto in quest’anno, e che di certo mi hanno arricchito immensamente da un punto di vista formativo, sono il risultato di tutti gli incontri fatti, e il merito va a tutte le persone che ho incrociato lungo il percorso e che mi hanno lasciato, ognuna a modo suo, un pizzico della propria umanità. Se guardo indietro sorrido, perché ora riconosco chiaramente il ruolo che ogni sguardo, ogni sorriso, ogni consiglio e ogni rimprovero hanno avuto sulla mia trasformazione, come futuro medico ma ancor di più come persona.

D: C’è un insegnamento che senti di aver tratto da questa esperienza? Una riflessione, un desiderio con lo sguardo al futuro che vuoi condividere.

R: L’Erasmus in generale, e quest’ ultimo periodo in particolare, mi hanno obbligato a riflettere sull’importanza della prospettiva. Ogni evento che ci troviamo a vivere infatti, anche il più tragico, ci costringe a reagire: il tipo di risposta che decidiamo di dare dipende solo da noi però, e dal nostro punto di vista. Io ho scelto di guardare questa situazione dall’angolatura più positiva e luminosa, ho cercato il punto di forza nell’imprevisto e il vantaggio che potevo trarne. La ricompensa che ho ricevuto è stata generosa: tante soddisfazioni ed emozioni che mi porterò dentro a lungo.

Alla me del futuro e a chi ci legge vorrei ricordare proprio questo: bisogna davvero imparare ad affrontare il domani con ottimismo e con una prospettiva positiva, impegnarsi a cercare la motivazione giusta per perseguire i propri obiettivi e liberarsi dall’idea di avere la verità in tasca, perché ogni certezza può ribaltarsi in qualsiasi momento e per questo bisogna restare curiosi e agili a rincorrere nuove risposte.

Il cambiamento è inevitabile e questa esperienza mi ha insegnato che bisogna sempre farsi trovare pronti ad accoglierlo col sorriso.

D: “Cambiare la vita aprire la mente” è il claim di Erasmus+: condividi con i tuoi colleghi studenti perché per te è davvero così

R: La vita cambia nel momento esatto in cui scegli di partire, decidi ti metterti in discussione e di stravolgere le tue priorità e le tue certezze: devi riorganizzare tutto, dagli aspetti più burocratici e amministrativi, fino a quelli personali e sociali. Devi prepararti a salutare i tuoi affetti e i tuoi posti del cuore, per trovarne di nuovi.

Nuova casa, nuove strade, nuovi amici e nuovi punti di riferimento: è un’occasione per ripartire da zero e per ritrovare se stessi, lontano da pregiudizi e da influenze esterne, che possono proteggerti ma spesso anche intrappolarti.

Ogni giorno è stato diverso dall’altro, ho cercato di godere a pieno di ogni momento sapendo non si sarebbe ripetuto, ho imparato a vivere ogni mio stato d’animo, senza vergogna nè riserva, e così ho conosciuto lati di me che altrimenti non sarebbero mai affiorati. Ogni giorno sono cresciuta, a volte rendendomene conto, altre volte più silenziosamente: il fatto che vivere un anno all’estero ti cambi la vita è palese fin dall’inizio, il fatto che ti apra la mente invece è un risultato che riconosci verso la fine, quando voltandoti indietro rivedi tutto quello che hai attraversato, e di colpo ti scopri cambiato.

Paradossalmente ho ritrovato la mia identità e ho rafforzato le mie radici, specchiandomi negli occhi di culture diverse, dove ho ritrovato l’amore per la mia terra e l’orgoglio di essere italiana. È così che ho capito quanto questo Programma sia importante per noi giovani: viviamo in un mondo in cui non possiamo più permetterci di rimanere chiusi nei nostri confini e pensare di non avere bisogno dell’altro (e direi che questa pandemia ce lo ha ricordato con durezza), ma al contrario solo attraverso la collaborazione e lo scambio possiamo arricchirci e capire quanta bellezza abbiamo da offrire. Da questa esperienza ho capito che il modo migliore per apprezzare le mie origini e rendere onore alle tradizioni del mio paese, è proprio farle conoscere e mischiarle a tante altre, per creare colori nuovi, spesso anche più belli.

L’Erasmus è un viaggio, di vita però, che se sfruttato nel modo giusto, riserva un privilegio: ti concede la libertà e la conoscenza per scegliere la giusta direzione, aiuta a trovare se stessi e il proprio posto nel mondo.

Alessia Ricci
Ufficio comunicazione
Agenzia Nazionale Erasmus+ Indire