Educazione degli adulti

Alleanze educative per contrastare la dispersione scolastica: le proposte dal seminario EPALE

25/11/2022

I giovani che abbandonano gli studi precocemente sono un fenomeno in crescita nel nostro paese. Ugualmente allarmante e in crescita il dato che registra il totale abbandono nella ricerca di alternative per la formazione, o per la ricerca di una occupazione.

Per cercare di contribuire ad alzare l’attenzione su questi temi l’Unità EPALE Italia ha organizzato a Roma il 9 e 10 novembre un seminario nazionale da titolo “Non dis-perdersi. Azioni di rete per contrastare la povertà educativa”. L’incontro è stato l’occasione per confrontarsi sul tema attualissimo della dispersione scolastica e della povertà educativa tra i minori e i giovani adulti, mettendo al centro l’importanza delle reti territoriali come strumento di contrasto efficace alle disuguaglianze educative e della creatività per accendere la motivazione.

Al tema dell’abbandono scolastico si collega infatti quello della povertà educativa, ovvero l’impossibilità per un minore di avvalersi del diritto ad apprendere, a sviluppare capacità e competenze, a coltivare aspirazioni e talenti personali. Si riferisce dunque non solo alla lesione di un diritto, quello allo studio, ma alla mancanza di opportunità educative nel senso più ampio del termine, dalla fruizione di attività culturali, a quelle sportive, ricreative, sociali. Come è intuibile, la povertà educativa è prevalentemente legata a contesti sociali svantaggiati, segnati da disagio familiare, precarietà occupazionale e limitata disponibilità economica.

Grazie al contributo del Forum Nazionale del terzo Settore, di Openpolis e INAPP, nel corso del seminario si è quindi fatto il punto sul quadro della situazione italiana: sono stati presentati i risultati dell’indagine “Patti educativi Territoriali e percorsi abilitanti” condotta dal Forum Disuguaglianze Diversità e i numeri del fenomeno dei NEET (Not in Employment, Education or Training), i giovani che non studiano, non lavorano e non fanno formazione.


All’interno delle sessioni dei due giorni sono stati inoltre presi in esame esperienze nate in contesti territoriali diversi, come i progetti all’interno degli istituti penali minorili (tra cui spicca la testimonianza di Gabriella Stramaccioni, Garante dei diritti dei detenuti di Roma Capitale) e l’esperienza di Amir Issaa, rapper, scrittore e ideatore di una “Educazione rap”. La panoramica europea è stata quindi analizzata grazie alla presenza di Gosia Malgorzata Kozak, Policy Officer Adult Education (AE) / DG EAC della Commissione Europea, e alla condivisione di buone prassi trasferibili da altri Paesi EU, con la partecipazione delle Unità EPALE di Belgio, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Slovacchia.


La principale sfida che emerge dall’analisi e dall’osservazione delle esperienze nazionali ed europee più avanzate di politiche giovanili consiste nel riuscire a integrare in modo efficace l’esigenza di una governance strategica con il potenziale presente sui territori. Si tratta, in sostanza, di individuare e di conciliare le energie che nascono dal basso, cioè la capacità dei diversi attori presenti sui territori di creare proficui rapporti di collaborazione per attuare interventi a favore dei giovani.

di Daniela Ermini, Unità EPALE Italia


In occasione del seminario, il magazine Dire, Fare, Insegnare ha intervistato l’Unità EPALE Italia. Pubblichiamo le risposte di Martina Blasi, membro del team nazionale di EPALE.

Quale è la situazione attuale della scuola italiana in merito alla dispersione scolastica? Quali fattori la influenzano?

La dispersione scolastica è un fenomeno complesso e sfaccettato, che deve essere analizzata in termini multidimensionali, in quanto non riconducibile a un’unica causa. La dispersione può avvenire a diversi stadi del percorso scolastico e può consistere nell’abbandono, nell’uscita precoce dal sistema formativo, nell’assenteismo, nella frequenza passiva o nell’accumulo di lacune e ritardi che possono compromettere le prospettive di crescita culturale e professionale dello studente.

A fare luce su queste disuguaglianze ci sono i dati diffusi dal Servizio statistico del Ministero dell’istruzione e le analisi fornite dall’ISTAT, secondo cui a lasciare la scuola media e superiore sono soprattutto i maschi, gli alunni stranieri di prima generazione, i residenti nel Mezzogiorno e coloro che sono in ritardo scolastico a causa di bocciature. Il momento più critico è la transizione tra la scuola secondaria di primo e di secondo grado. Nel delicato passaggio tra i due cicli scolastici sono 6.322 gli alunni che hanno abbandonato la scuola, pari all’1,14% di coloro che hanno frequentato il terzo anno della scuola secondaria di primo grado.



Altri dati provenienti da Eurostat dicono che nel 2021 la percentuale di giovani italiani tra i 18 e i 24 anniche hanno abbandonato precocemente la scuola è stata del 13,1%, ben al di sopra del valore medio dell’Unione Europea (9,9%). Il confronto con l’Europa è pesante, visto che l’incidenza della dispersione scolastica in Italia resta tra le più elevate in assoluto dopo quella della Romania (15,3%) e della Spagna (13,3%), ed è ben lontana dall’obiettivo del 9% entro il 2030 stabilito dalla UE.

C’è tuttavia un altro elemento da considerare, la cosiddetta “dispersione implicita”. Ci sono infatti anche alunni che vanno a scuola, ma imparano poco, oppure imparano male o in modo irregolare. Anche se questi giovani non fanno numero nelle principali statistiche sulla dispersione scolastica esplicita, possiamo in un certo senso includerli tra i “dispersi”. La dispersione scolastica è direttamente collegata anche con il fenomeno dei NEET: secondo i dati Istat del 2021 il numero raggiunge in Italia il 23,1% ed è addirittura il più alto rispetto tra i paesi UE (media 13,1%), quasi 10 punti in più rispetto a Spagna (14,1%) e Polonia (13,4%), e più del doppio se si considerano Germania e Francia (9,2%).

La dispersione scolastica come pochi altri fenomeni può aiutare a capire quanto è equa una società. Le cause per cui i giovani lasciano la scuola, o la frequentano in modo irregolare, sono molteplici: legate a fattori socioeconomici, alla povertà della famiglia o del territorio di origine, a differenze culturali, a incertezza delle prospettive occupazionali, o anche alla scarsa efficacia dell’istruzione ricevuta in passato. Per questo motivo il territorio può avere un ruolo decisivo nel ridurre queste problematiche se crea e attiva reti, patti e alleanze educative, ovvero se mette in atto una collaborazione tra enti locali, scuole e altri soggetti della cosiddetta comunità educante.

La lotta contro la dispersione scolastica si gioca su tre assi che sono state messe in luce a Roma: la prevenzione; il contrasto ai fattori che causano povertà educativa, insuccesso e abbandono scolastico; la promozione dei fattori che giocano un ruolo positivo nel favorire il processo della riuscita scolastica, come per esempio l’orientamento.

Si parla molto di cosa dovrebbe fare lo Stato per contrastare la dispersione scolastica. Cosa possono fare invece le scuole e i docenti per contrastare il fenomeno?

Agire sui diversi fattori, familiari, ambientali e sociali, è la chiave di svolta per prevenire gli effetti negativi e le esperienze avverse che contrastano la riuscita scolastica dei giovani. Le azioni di contrasto non devono essere focalizzate solo sullo studente e sulla scuola, ma anche al di fuori. La scuola e i singoli docenti devono attivare reti con i servizi sanitari e sociali, gli enti locali, la polizia, il mondo dell’associazionismo, le Università. Fondamentale è inoltre la formazione del personale docente sulla comunicazione con le famiglie, sull’evoluzione della struttura familiare e le diversità sociali e culturali, sull’orientamento. Le collaborazioni devono inoltre avvenire anche tra scuole della stessa rete o di reti diverse e tra docenti di gradi diversi per assicurare il supporto nel passaggio scolastico e per garantire continuità.

Le scuole devono inoltre promuovere la progettazione e la coprogettazione, attingendo anche dai fondi europei, proponendo interventi che prevedano la partecipazione diretta degli studenti e delle famiglie (cittadinanza attiva), affinché tutti siano coinvolti nel contrastare un problema collettivo: quando un problema è collettivo, infatti, la collaborazione è più naturale. I progetti, quali ad esempio i corsi di alfabetizzazione per i genitori, per permettere la loro reale partecipazione alla vita scolastica, devono quindi partire dalla scuola ma allargarsi alla comunità tutta e anche agli spazi pubblici (piazze, giardini, strade, mercati), luoghi di educazione e cura e rispetto dei beni comuni.

La parola “cura” è a mio parere una parola sulla quale è importante riflettere. La fragilità infatti si crea sempre dove la cura manca, e la cura ha bisogno di tempo e di continuità per evitare la frammentarietà e il sentimento di solitudine che accomuna tutti coloro che si disperdono.

Fonte: Dire, Fare, Insegnare

Foto: Michele Squillantini

Grafiche: Luca Librandi

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