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Io? Erasmus. Martino Chieffo ci racconta la sua esperienza a Leuven 25 anni fa

Tornare 25 anni dopo nei luoghi dell’esperienza Erasmus e sentirla profondamente parte del proprio percorso di vita e della propria identità. Abbiamo incontrato Martino Chieffo, cantautore polistrumentista in viaggio in Belgio e ci siamo fatti raccontare la sua storia Erasmus, tra passato e presente, curiosità e voglia di aprirsi al mondo. [ndr]

Io? Erasmus

Martino a Leuven con la statua simbolo degli studenti universitari
Martino a Leuven con la statua simbolo degli studenti universitari

Si intitolava così la raccolta di racconti brevi che avevo scritto rientrato dall’Erasmus. Esperienza bellissima, sorprendente, totalizzante e a tratti positivamente sconvolgente. Tanto che, al rientro, a chi mi chiedeva di me prima di dire come mi chiamavo rispondevo che avevo fatto l’Erasmus… Io? Erasmus. Appunto.

Leuven 1997, 25 anni fa.

25 anni sono una bella sommetta di anni.
Sono tornato a Leuven quest’anno a cavallo tra agosto e settembre, proprio a pochi giorni dall’anniversario del mio sbarco in Belgio come studente Erasmus.

In realtà sono tornato diverse volte, l’ultima a marzo di quest’anno come regalo per il compleanno. In quella occasione ho pianto per due ore (mandando messaggi audio e foto al gruppo whatsapp degli amici italiani incontrati durante l’Erasmus) perché ho rivissuto la serata del giovedì, quella in cui tutti gli studenti escono e affollano i pub di Grote Markt, dentro e fuori sui tavolini che riempiono la piazza. E a mezzanotte ho festeggiato tra lacrime miste di gioia e nostalgia, accompagnate ovviamente da birra belga e patatine fritte.

Oggi mi occupo di marketing e comunicazione, scrivo e sono cantautore e polistrumentista. Apparentemente lontano dagli studi in Giurisprudenza che mi portarono a Leuven, ma quello che oggi sono è in realtà assolutamente frutto dell’apertura mentale e professionale iniziata con l’Erasmus, momento fondamentale per tutta la mia vita successiva.

25 anni fa sono partito e la scelta di Leuven era data dalla vicinanza a Bruxelles, visto che avevo la possibilità di fare uno stage negli uffici di un membro del Parlamento Europeo (poi ne ho fatti tre… e ci ho anche lavorato come assistente), anzi di fatto avevo deciso di fare l’Erasmus perché era l’unico modo per fare quello stage, trovarmi già li vicino.

Internet era agli esordi, l’aula computer di Giurisprudenza all’Università di Bologna era frequentata da una decina di studenti, io iniziai ad andarci per avere un indirizzo mail da usare durante l’Erasmus (anche se le uniche mail a cui potevo scrivere erano quella di mio padre, di un amico pubblicitario e di un paio di docenti) e perché online si cominciavano a trovare testi e accordi delle canzoni. L’Erasmus c’era già da 10 anni ma a me, e agli altri studenti di Bologna che partivano, sembrava di essere dei pionieri, i compagni di corso ci guardavano come animali strani e si facevano l’idea che il periodo all’estero fosse una parentesi, una sorta di sospensione dal resto della vita universitaria che loro continuavano a fare, un po’ come se ci fossimo addormentati per poi svegliarci qualche mese dopo.

L’arrivo fu abbastanza traumatico, con la paura di sbagliare destinazione una volta arrivato a Bruxelles con l’aereo (il mio primo volo…) dopo che avevo scoperto che in Belgio ci sono due Lovanio, Leuven nella parte fiamminga e Louvain la Neuve nella parte vallone, con una valigia prestata da amici di famiglia, classica valigia letteralmente di cartone le cui ruote mi lasciarono a piedi sul pavé a pochi metri dalla stazione ferroviaria di Leuven, la prima notte passata in una stanza non proprio pulitissima con il bagno in comune sulle scale che aveva le porte aperte sopra e sotto, tipo saloon di un film western, il che per me che sono alto significava vedere le persone passare fissandole negli occhi mentre ero seduto…

Erasmus e le lingue

Scoprii ben presto che i 3 anni di francese alle medie e i 5 di inglese al liceo erano a malapena sufficienti per comunicare con gli altri studenti stranieri che parlavano correntemente almeno 3 lingue oltre a quella madre. A malapena sufficienti. Soprattutto se per ignoranza leggi che alcune lezioni sono in Dutch e alla tutor chiedi come farai a seguirle visto che non sai il tedesco… non posso riportare la risposta della tutor, un semplice sguardo killer e sulla fronte le compare una scritta: Dutch Chieffo, Dutch non Deutsch (per fortuna poi ho fatto anche un corso di neerlandese, lingua affascinante, grazie al quale ho potuto recuperare una chitarra lasciata su un treno di notte chiedendo aiuto al signore che puliva la stazione e parlava solo fiammingo stretto).

Lo shock culturale

Libretto degli orientation days per gli studenti stranieri settembre 1997
Libretto degli orientation days per gli studenti stranieri settembre 1997

Nel kit di benvenuto per gli studenti stranieri c’era un libretto in cui un peso importante aveva il capitolo dedicato al Culture shock descritto fase per fase. Lo vissi tutto. Ma viverlo mi permise poi di accogliere a mia volta, manco fossi un veterano, gli studenti che arrivarono qualche giorno o qualche mese dopo di me.

Fu una bellissima doccia fredda di cui sarò eternamente grato, tanto che chiesi il prolungamento e restai qualche mese in più, imparai a usare la mail e a fare ricerche in internet (ci tenni addirittura dei corsi per un ente di formazione al mio rientro: Corso base per utilizzare internet e l’e-mail), imparai a buttarmi nel comunicare in altre lingue, imparai a scrollarmi di dosso le paure verso l’altro conoscendo nuovi amici di diverse culture provenienti da luoghi vicini e lontanissimi, imparai a capire altre culture, imparai a mie spese la superficialità dei pregiudizi culturali, imparai a mie spese ad essere meno diretto e rude nell’esprimermi in un’altra lingua, imparai ad essere meno provinciale e meno campanilista (che non vuol dire non apprezzare la bellezza di casa propria ma imparare ad apprezzare davvero il bello ovunque si trovi, vicino o lontano), imparai a prendermi cura di me nelle piccole esigenze quotidiane come trovare una stanza, attivare una sim, noleggiare una bici, cucinare, fare la spesa e gestire il mio piccolo budget, e imparai a prendermi cura delle persone che incontravo, imparai ad ascoltare. Lo shock culturale lasciò presto il posto ad una grande curiosità, al desiderio di conoscere, di scoprire, di vedere, di apprendere e raccontare. Si, dovrei raccontare anche se non è questa la sede per approfondire e dilungarsi.

Ricordi e momenti buffi di un’esperienza

Tanti sono i volti e i ricordi dolcissimi che mi porto dentro, e tanti gli episodi buffi. In realtà si tratta di momenti semplici e che non hanno nulla di straordinario in sé ma lo sono per quello che rappresentano. Forse uno dei ricordi più significativi è proprio il più banale, sono io che rientro di notte in bicicletta verso il mio studio (la stanza dello studente) cantando da solo Bartali di Paolo Conte a squarciagola per la gioia sotto la tipica pioggerellina fredda belga, c’era dentro tutta la lieta presa di coscienza di sé.

Ma ricordo anche le note di pianoforte che sentivo uscire la sera da una casa vicina al mio studentato mentre rientravo, i pranzi in mensa con gli amici (che sono rimasti tali), le serate in giro per i pub, le spaghettate per gli stranieri, le lunghe chiacchierate multilingue, la paura di sostenere un esame in un’altra lingua, i tentativi dagli esiti tragicomici di raccontare barzellette o tradurre modi di dire italiani in inglese, la scoperta di una cucina con sapori lontani da quelli di casa, l’architettura e il paesaggio così diversi, il mare del nord in inverno, le strane sequenze di scampanellate ad un unico campanello per chiamare uno specifico studente una sorta di codice Morse nuovo per ogni casa, le ragazze sudafricane che, essendo io italiano, davano per scontato possedessi una pistola, gli studenti danesi che non credettero io fossi italiano fino al momento in cui cominciai a gesticolare…

Il rientro a Bologna

Confesso che il rientro a Bologna fu strano, tanto che decisi di frequentare l’ultimo anno da pendolare, si era creato un po’ un divario con chi era rimasto e io non volevo che la bellissima esperienza che avevo fatto venisse sminuita da chi non riusciva a capire. Oggi sarebbe sicuramente diverso, anche grazie alla tecnologia, ad una maggior facilità di comunicare e viaggiare e ad una miglior conoscenza di almeno una lingua straniera. Credo che ormai tutti gli studenti abbiano capito che una esperienza all’estero è fondamentale per il proprio percorso accademico, per la propria carriera professionale futura e anche per un arricchimento puramente personale. E guardo con ammirazione agli studenti delle scuole superiori che coraggiosamente fanno questo passo in anticipo.

Leuven oggi

Ritrovare in questi giorni Leuven molto simile a quella che avevo lasciato, simile come clima, con studenti locali mescolati a studenti stranieri, in giro in bicicletta lungo le tantissime piste ciclabili, ai tavolini dei pub, nelle loro stanze/vetrina a studiare (poche tende alle finestre e tante luci colorate).

La città mi sembra ancor più, se possibile, a misura di studente e ancora più internazionale. Ed è stato bello venirci proprio in questi giorni in cui c’erano tanti genitori che accompagnavano i figli a scegliere la stanza, noleggiare la bicicletta, ultimare le pratiche per l’iscrizione, portare con furgoni o carrelli tutto il necessario per vivere un anno universitario e la sera godersi insieme una birra fresca.

Ho portato per la prima volta con me i miei figli, già studenti delle superiori, e sono rimasti affascinati dai tanti ragazzi poco più grandi di loro, da come vivono, da come si muovono, da come si vestono, dal meraviglioso mescolio di lingue straniere. Hanno subito capito che quello che hanno visto non è qualcosa di limitato a Leuven (certo questa piccola città universitaria rasenta la perfezione per dimensioni, per cultura, per qualità della vita ed è piaciuta anche a loro) ma che si tratta di un’apertura mentale, di un passo da fare per crescere.

Ho il sospetto che non appena potranno mi chiederanno di andare, da soli, all’estero. Approverò con gioia (anche se non dovesse essere Leuven). Del resto in questi giorni se la sono cavata molto meglio di me al mio arrivo.

Un passo di maturità: aprirsi al mondo

Pochi anni fa mi sono reso conto che durante quel breve periodo di studio all’estero avevo sperimentato che era possibile e opportuno per me compiere un passo di maturità che oggi chiamerei evolutivo, aprirmi al mondo, scrollarmi di dosso abitudini e atteggiamenti, togliermi di fatto una pelle non mia, condizionata da un orizzonte limitato mio e di chi avevo intorno. Purtroppo (devo essere onesto anche perché desidero che le mie parole siano utili a chi oggi si appresta ad andare a studiare all’estero) quando tornai in Italia nel 1998 rientrai, come si suol dire, nei ranghi della vecchia quotidianità per paura di non essere accettato, smorzai il mio entusiasmo e il fascino che provavo per l’estero perché non veniva capito dalle persone che frequentavo all’epoca. Certo sono tornato a Bruxelles a lavorare per qualche anno (altra città incredibile), ho fatto alcuni master di cui uno in Marketing & Advertising proprio in Belgio alla Solvay Business School seguendo le lezioni in francese, inglese e fiammingo (che belli i lavori di gruppo con altri partecipanti di tutte le nazionalità), e ho sempre approfittato delle occasioni di incontro internazionale nella vita e nel lavoro, guardando con attenzione all’estero, alle novità professionali, ai luoghi in cui le cose accadono prima, leggendo libri in inglese e mantenendo rapporti con tanti amici lontani.

Diversi anni dopo per fortuna ho raccolto appieno il frutto di quella intuizione e sono esplose nuovamente in me adulto la curiosità culturale, la determinazione personale e professionale, la voglia di imparare cose nuove, la consapevolezza di essere limitato ma che questo non è un limite e il desiderio di non lasciar scivolare via le cose che accadono senza trattenerne il buono che inevitabilmente contengono. Ci è voluto un po’ ma il seme piantato dall’Erasmus è fiorito. Questo mi ha dato lo spunto per cambiare città, per cambiare lavoro, per ricominciare ad ascoltare me stesso e gli altri, per imparare a suonare strumenti musicali nuovi e talvolta strani, come il theremin per esempio, per scrivere finalmente le mie canzoni e fare un disco.
Tutto grazie a quell’esperienza fatta per pochi mesi tanti anni fa.

Recentemente ho addirittura avuto l’opportunità di duettare ad un concerto con Markéta Irglová cantando insieme Falling Slowly, la canzone con cui lei e Glen Hansard hanno vinto un Oscar nel 2008 per la miglior canzone originale all’interno del film Once.

Martino sul palco con Markèta Irglovà
Martino e Markèta

Ecco, credo che se non avessi fatto l’Erasmus, difficilmente avrei potuto chiacchierare amabilmente in inglese per due ore a tavola con Markèta (nata nella Repubblica Ceca e che oggi dopo aver vissuto in Irlanda e Stati Uniti vive in Islanda), scherzare con lei sul fatto che giustamente non vuole essere ricordata solo come “Girl From A Movie” per poi confessarle che da anni sognavo di suonare e cantare quella canzone con lei. La mia incredulità quando mi ha risposto che se conoscevo la canzone potevamo farla insieme… Dopo ho pianto quasi quanto ho pianto tornando a Leuven.

Grazie Erasmus!

Martino Chieffo,
cantautore polistrumentista e…alumno Erasmus

A cura dell’Agenzia nazionale Erasmus+ Indire